Pubblicato il 31 maggio 2023
“In Italia stiamo assistendo alla costante erosione delle superfici destinate alla coltivazione di patate: 11.000 ettari in meno rispetto al 2010. Nella sola Emilia Romagna gli ettari sono scesi da 4.000 a 2.800. Questa emorragia di superfici deriva da fattori che riguardano il ciclo di produzione, quello di conservazione e, di riflesso, la redditività della pataticoltura. Sul fronte della produzione, oltre al forte aumento dei costi esiste una vera emergenza in termini di strumenti di difesa fitosanitaria. Basti pensare che nel 2022, in Emilia Romagna, i danni da elateridi hanno compromesso il 35% della produzione”.
Così Matteo Todeschini, presidente di Agripat, OP emiliano romagnola che rappresenta un migliaio di produttori.
“La continua eliminazione di principi attivi – incalza – ha privato gli agricoltori di necessarie armi di contrasto, inducendo molti di loro ad abbandonare la pataticoltura. Sul fronte del ciclo di conservazione il divieto di utilizzo dell’olio di girasole condiziona e mette a rischio le programmazioni commerciali, spalancando le porte all’importazione di patate provenienti da aree (anche extra europee) caratterizzate da bassi livelli di garanzie in termini di qualità e salubrità del prodotto. I pataticoltori italiani stanno quindi vivendo un momento di difficoltà estrema, per di più costretti a doversi difendere da una UE che, da anni, ha messo un bersaglio sulla schiena della nostra agricoltura. ‘L’attacco al Made in Italy da parte di Bruxelles è totale’: così dichiarava lo scorso dicembre il presidente di Confagricoltura al Sole 24 Ore. Viviamo un’epoca nella quale l’uso di agrofarmaci non è mai stato così basso, eppure dalla UE piovono provvedimenti sempre più restrittivi, come quello di abbattere del 62% l’uso di fitofarmaci in Italia. Insomma: mentre occorrerebbero più strumenti di difesa, la UE impone la drastica riduzione di quelli esistenti”.
“Dietro il paravento del “green” si favoriscono le lobby”
“Davanti a simili provvedimenti – aggiunge Todeschini – sorge il sospetto che le politiche comunitarie vengano indirizzate dalle volontà e dalle pressioni di centri di potere economico, alcuni dei quali traggono vantaggi dall’indebolimento dell’agricoltura italiana. Dietro a paraventi ideologici come quello del ‘green’ prendono corpo dinamiche che favoriscono svariate lobby, perlopiù tedesche e francesi. Non a caso, tutte le normative che hanno reso la vita dei nostri agricoltori più complicata e meno prospera sono state emanate dalla UE e applicate poi, bovinamente, da chi ha governato l’Italia negli ultimi dodici anni. Parafrasando Churchill, si potrebbe dire che se essere fiduciosi nella UE nel 1993, prima del trattato di Maastricht, poteva significare avere cuore, esserlo nel 2023 può significare non avere un cervello”.
Se, come afferma Confagricoltura, siamo sotto attacco da parte di Bruxelles allora, fa presente il presidente di Agripat, l’imperativo diventa salvare il salvabile: “Come scrisse Guareschi in un episodio del suo Don Camillo ‘Possiamo fare ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi, salvare il seme. Vale a dire: mettere in salvo quel che resta. E per farlo occorre salvaguardare i nostri metodi di produzione e le nostre colture tradizionali, ispirandosi a quel concetto di ‘sovranità alimentare’ utilizzato dal Ministro Lollobrigida nel rinominare il suo dicastero. Secondo Wikipedia ‘La sovranità alimentare è un indirizzo politico-economico volto ad affermare il diritto delle singole nazioni a definire le proprie politiche e strategie di produzione di cibo’. Questo concetto, se applicato correttamente, potrebbe esserci di grande aiuto per porre fine alla subalternità verso provvedimenti che stanno penalizzando fortemente la nostra agricoltura. Resta da vedere se, come e con quali tempi il Governo in carica riuscirà a dare forma a questo concetto”.
Di recente Todeschini ha avuto un incontro con Luigi D’Eramo, sottosegretario di Stato al Masaf: “In lui e nei suoi più stretti collaboratori ho potuto riscontrare grande competenza, volontà di ascolto e piena consapevolezza del fatto che in assenza di politiche efficaci, nazionali e comunitarie, sarà difficile per la nostra pataticoltura risollevarsi. Questo mi porta a pensare che valga la pena concedere un’apertura di credito all’attuale configurazione della compagine ministeriale. Se sapranno riempire il ‘contenitore’ della sovranità alimentare con adeguati contenuti, allora sia la nostra pataticoltura che l’agricoltura ne potranno trarre grandi benefici”, conclude il massimo esponente di Agripat.