23 Febbraio 2023

Metà del fosforo disponibile nel suolo proviene da fertilizzanti minerali. In Europa, Asia e Nord America le concentrazioni più alte. I ricercatori francesi: “Occorre accelerare la transizione agroecologica nei Paesi ricchi destinando le risorse residue al Sud del mondo”

di Matteo Cavallito

I sistemi agricoli globali sono “estremamente dipendenti dai fertilizzanti minerali a base di fosforo”. Ovvero da composti “prodotti a partire dal fosfato di roccia, una risorsa non rinnovabile e distribuita in modo disomogeneo sulla Terra”. Tale squilibrio evidenzia quindi “l’importanza di accelerare la transizione agroecologica nei Paesi economicamente sviluppati”, destinando le risorse residue al Sud del mondo e in particolare alle nazioni africane caratterizzate da terreni meno fertili. Lo sostiene uno studio a cura dell’INRAE, l’Institut national de la recherche agronomique, un ente del governo francese, e del Bordeaux Sciences Agro, una scuola di formazione della locale università.

Gli autori, in particolare, hanno sviluppato un modello per simulare l’andamento del fosforo disponibile nel suolo di tutto il mondo dalla metà del secolo scorso a oggi. I calcoli si basano sull’elaborazione dei dati sulle scorte dell’elemento, sulle rese delle colture, sull’uso di fertilizzanti minerali, sul numero di capi di bestiame e sul commercio internazionale.

Metà del fosforo nel suolo proviene dai fertilizzanti

A livello globale, il 47% circa del fosforo presente nel suolo è di origine umana, ovvero attribuibile all’uso di fertilizzanti minerali. “Questo risultato riflette l’intensificazione dei sistemi agricoli avvenuta in tutto il mondo a partire dagli anni Cinquanta, quando molti Paesi hanno iniziato ad affidarsi pesantemente ai fertilizzanti sintetici”, spiegano gli autori.

Da allora, l’incidenza della quota derivante dall’impiego delle sostanze chimiche in agricoltura sul quantitativo totale dell’elemento nel suolo è aumentata notevolmente. Nel 2017, l’ultimo anno per il quale sono disponibili informazioni complete, il dato ha superato il 60% in Europa occidentale e in Nord America.

Nel mondo, tuttavia, la distribuzione resta fortemente diseguale. Dagli Anni ’70, le concentrazioni rilevate nel Vecchio Continente si sono stabilizzate, grazie alla diminuzione dell’uso di fertilizzanti minerali mentre gli effluenti zootecnici hanno contribuito a soddisfare parzialmente il fabbisogno di fosforo. Nello stesso decennio l’Asia ha iniziato a sperimentare la crescita del fenomeno raggiungendo e superando poi l’Occidente in termini di incidenza dell’elemento nel suolo. In Sud America e nell’Europa dell’Est si registrano oggi concentrazioni più basse, pari a circa il 40%. In Africa e in Oceania, infine, non si supera il 30%.

Distribuzione del fosforo derivante dai fertilizzanti nel suolo agricolo globale. Fonte: INRAE, 2023

Distribuzione del fosforo derivante dai fertilizzanti nel suolo agricolo globale. Fonte: INRAE, 2023

Il picco? Attorno al 2050

I numeri appaiono per certi versi paradossali se si pensa, ad esempio, che il 70% del fosfato naturale si trova in una sola nazione africana: il Marocco. L’Europa, per contro, ne è sostanzialmente priva. In questo quadro, gli attuali modelli agricoli finiscono per creare un forte stress al mercato e alla produzione, generando le condizioni per nuovi problemi in futuro.

“Agli attuali ritmi di estrazione”, spiegano i ricercatori, “raggiungeremo probabilmente il picco del fosforo, ovvero il punto di massima produzione della risorsa, entro il 2050”. Tale traguardo porterà con sé “un aumento dei prezzi dei fertilizzanti e maggiori tensioni geopolitiche”.

Oggi molti Paesi del mondo dipendono eccessivamente dai fertilizzanti minerali a base di fosforo e sono chiamati a intraprendere nuovi percorsi per superare questa situazione. Tra le strategie suggerite dai ricercatori ci sono il miglioramento del riciclo delle risorse e l’utilizzo di sistemi di coltivazione mista che combinano colture e allevamento. Un mix capace notoriamente di produrre ottimi risultati.

Soluzioni alternative per tutelare l’ambiente

La trasformazione del fosfato naturale, ricorda la ricerca, produce un notevole inquinamento attraverso le attività di estrazione e lavorazione. Il ricorso a soluzioni alternative, di conseguenza, non rappresenta solo un modo per rispondere ai problemi di costo e disponibilità della risorsa. Ma anche una vera e propria strategia di tutela ambientale.

Nei Paesi che hanno fatto storicamente maggiore ricorso al fosforo, la riduzione dell’impiego dei fertilizzanti non dovrebbe impattare necessariamente sulle rese, “perché le colture possono attingere alle scorte di elemento disponibile nel suolo a seconda del tipo di terreno”.

L’impiego delle rotazioni e il ricorso ad alcune colture in particolare – come il lupino bianco o il grano saraceno, ad esempio – possono favorire il rilascio del fosforo nel terreno, aumentandone la disponibilità per le coltivazioni successive. Il miglioramento del riciclo della materia organica, compresi gli effluenti zootecnici e i fanghi degli impianti di depurazione, al tempo stesso, contribuiscono anch’essi al mantenimento della fertilità.

https://resoilfoundation.org/filiera-agricola/agricoltura-dipendenza-fosforo/